CONCOURS GÉNÉRAL DES LYCÉES – SESSION DE 2002
(Classes terminales ES, L et S)
Durée: 5 heures
L’usage de tout dictionnaire est interdit.
PERCHÉ TI SCRIVO ?
È stato ieri, al telefono: « Hai saputo di Valeria ? » un tuffo, un vuoto improviso nello stomaco. Ho dimenticato persino che la voce della Berta crea spesso aspettative sproporzionate. Infatti non eri morta, ti sei soltanto operata, di una sciocchezza, per di più. Ho detto che ti avrei scritto. Le sarò sembrata affettuosa e formale, invece ero già risentita, non con lei, con te. Ti sembra gìusto che io debbba avere tue notizie dalla Berta solo perché avete passato qualche anno insieme a Ginevra ?
Se ti scrivo non è per affetto, néper forma, né, tantomeno, perché immagino le tue pallide mani a mestola poggiate sulle coltri o il tuo parlare ai medici, già con la bocca tutta da una parte, già di profilo, come hai sempre fatto, per civerreria, nel tentativo di mascherare, compiacendola, la parabola dell’occhio storto.
Se ti scrivo è, semmai, per ridere ancora con te, magari senza accorgermi che stai spirando, è, insomma, per compagnia, come quando, finito il liceo, traversavo lo stesso la città, le dispense sotto il braccio e una larga fetta di castagnaccio in mano, molle e bollente nella carta unta, per venire a studiare da te, anche se ormai seguivamo facoltà diverse.
E non sarebbe bastata la notizia di un’operazione, da cui uscirai subito con voluta, giovanile baldanza a darmi la spinta dopo anni di silenzio. Non sarebbe bastata se non ci fossero stati prima questi mesi passati in un frequente a tu per tu con te.
Il fatto è che questa primavera sono stata a Pisa.
È vero, c’ero stata altre volte, di passaggio, con qualcuno, non ultima dieci anni fa, con te e con Ninni. Ma allora prevalse la gioia di ritrovarci, tutte e tre, di ridere su vecchie risate, di sfotterci con la franchezza di un tempo, anche se sulla spiaggia vicina ci aspettavano i figli ragazzi, i mariti, estranei fra loro e costretti insieme come polli nello stresso canestro, e qualche vecchio compagno di scuola riconosciuto a stento, sotto calvizie e pinguedine, con l’aiuto di Ninni, la sola rimasta, in parte, pisana. Ero stata io ad organizzare quei giorni e non per bisogno di una corale « recherche », ma ancora, per « compagnia », come se la temperatura della mia vita, anche nei momenti di maggiore pienezza, la misurassi non a confronto, ma a contatto di quella degli altri.
Questa volta, invece, sono andata sola. Ora, se pensi che io, sola, non sto nemmeno in casa di giorno, avrai la misura della diffenrenza. Non mi fraintendere, non sono le forze che mancano, né il corraggio, né l’energia. Anzi, direi che la maturità, liberandomi dalle scarpe dure della giovinezza, quelle scarpe che portavi e risuolavi per anni, anche se ti sciancavano, mi abbia arricchito in libertà e in vigore.
Sono sempre pronta a partire. Più lontano, più disagiato è il viaggio, più mi attrae. Faccio giorni e notti di treno, rifuggo al contrario di te, e di mio marito che del resto lascio a casa, dagli alberghi multivetrati in cui si naviga lustri e soli come pesci in acquario, dormo in case dello studente cui mi guida un fiero odore di cesso o su un materassino da mare, come nell’abbaino della pittrice polacca. Ma un problema ce l’ho : trovare chi viene per la seconda volta con me.
Cosi rispolvero vecchie amicizie, abbino le persone più disparate, incrino cupe recenti solitudini e parto con la convinzione di fare qualcosa per gli altri, che è poi il mio modo di non sentirmi sola. Perché io, sola, non esisto. E questa una delle poche certezze cui approda la mia vita, peraltro non fervida di pensiero.
A Pisa, dunque, sono andata sola.
Erano state, a spingermi, certe vecchie fotografie dei Lungarni che Ninni mi aveva mandato e che avevo tenuto qui, sotto gli occhi, durante tutto l’inverno. Grandi, gialline, messe una accanto all’altra davano la curva intera dell’Arno dalla Cittadella alle Piagge, con i negozi stretti stretti nella prospettiva, i vecchi bar dalle tende calate, l’albergo dignitoso e lontano come quando ci passavamo davanti. Tutto un fluire di immagini, dalla giovinezza all’infanzia, cominciò a dipanarmisi dentro, e più aggomitolavo sensazioni, ricordi, più desideravo essere lì, ritrovare la misura di quelle cose, toccarle.
Desideravo affaciarmi alle spallette, proprio dove sbocca la via dell’Università a dove usavamo cosi spesso fermarci insieme. E guardare il fiume, la corona dei palazzi, la bellezza intorno, cercando con la mano aperta sulla pietra la traccia delle primitive asperità, rese dolci dal tempo. « Siamo fortunate a vivere qui », dicevi con una sorta di fremito e scapeggiavi, fra me e Ninni, a raccogliere il nostro muto consenso. Era sempre lei la prima ad avviarsi, roteando la spalla destra come per rimandare a posto un laccio, che era poi il suo modo di mostrare interresse e soddisfazione.
Luisa ADORNO, Le dorate stanze.
TRAVAIL À FAIRE PAR LE CANDIDAT
A. Traduire en français les deux passages suivants :
1. de « Se ti scrivo non è per affetto » (paragraphe 2) à « a contatto di quella degli altri. » (paragraphe 6).
2. de « Cosi rispolvero vecchie amicizie » (paragraphe 9) à « ritrovare la misura di quelle cose, toccarie. » (paragraphe 11).
B. « Se ti scrivo non è per affetto, né per forma […] è, semmai, per ridere ancora con te […] è, insomma, per compagnia » (paragraphe 2 et début du paragraphe 3)
Ricorrendo alle tue cognizioni letterarie e culturali, spiega e commenta questa definizione dell’arte epistolare.